
Timballo del Gattopardo
Un piatto borbonico, ai tempi del Regno delle Due Sicilie.
«È il timballo dei Gattopardi, di cui parla il libro di Tomasi di Lampedusa.
Alla pasta brisè, si aggiungono, strato dopo strato, fette di melanzana fritte, prosciutto cotto di Capitelli, formaggio ragusano fresco, maccheroni fatti in casa conditi con il sugo delle feste a base di carne di Giuseppe Grassi, maiale di Agostino Ninone Sebastiano, pollo Aia Gaia.
«Il tutto amalgamato con della balsamella profumata alla vaniglia bourbon, molto più leggera e piacevole dell’originaria crema pasticcera».
Note
La sfida assoluta di questo timballo non è l’esuberanza del ripieno, ma il fatto di averlo rimpicciolito fino a farne una monoporzione. Un esempio di ingegneria culinaria.
Nel Gattopardo, così scrive Tomasi di Lampedusa: L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le
ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.