Ogni santa mattina di Ciccio Sultano

 

Gambero Rosso – Ogni santa mattina e sera, ma anche più volte al giorno, la domanda che mi faccio non è che fare? Non penso, infatti, che finita l’epidemia avrò voglia di trovare un altro lavoro né penso che potrei mai cambiare comportamento; a cinquant’anni, sarebbe solo una pagliacciata.  Ho cucinato e ho ottenuto fin qui dei risultati, restando curioso, continuando a prepararmi, mostrandomi sincero anche quando non era richiesto. Quindi, con tutti i miei difetti, non smetterò di fare il cuoco. Sgombrato il campo dall’ombra di una crisi esistenziale (che fare?) la domanda giusta è come fare?
In che modo, tenere insieme il prezzo e la sopravvivenza. Come incrociare i costi della qualità e del servizio con le reali possibilità della domanda.
Non credo che il desiderio di sedersi a una grande tavola, dove si compie dal primo all’ultimo istante una magia, possa scomparire per una quarantena, più o meno lunga. Anzi, sono convinto del contrario, la mancanza accentuerà il bisogno. Magari, succederà come già mi è capitato che un giovane cliente, privo di grandi mezzi, metta ogni mese da parte qualcosa per regalarsi un pranzo o una cena speciali. Clienti così determinati, appassionati e puri, sono in assoluto quelli che ti danno la carica migliore. Veramente, hai voglia si servirli, di non deludere la loro dedizione. Forse, questo è già un indizio sul come fare? Cuoco e cliente dovranno mostrarsi all’altezza dei rispettivi compiti. Sono dei complici non dei duellanti.
Quante volte in questi anni ho dovuto assistere a delle disfide sui piatti da parte di cuochi improvvisati senza parlare di grandi, oscuri, sommelier? Complicità e dedizione. Ha qualcosa di conventuale, ma non sembra male.
Per qualcuno che non ha pregiudizi e solo il desiderio di saziare il piacere della tavola, di conoscere, di condividere, il termine più adatto a una tale esperienza è invito. Domani, andare al Ristorante sarà come rispondere a un Invito. Un invito che il caso o la curiosità ti offre e che bisogna onorare non per farne sfoggio, per un’elegante abitudine, per ingrassare, ma per riconoscenza nei confronti della vita. E la riconoscenza verso questo nuovo tipo di cuoco (e di cucina) avrà a che fare con due nobili sentimenti, senza prezzo, una dedizione e una complicità reciproche.
Ci saranno meno tavoli, più distanza dall’uno all’altro, menu meno esagerati, forme diverse di pagamento, un servizio sempre impeccabile che confini con la dolcezza e solo qualche premio per cui valga veramente la pena di sfidarsi.
Diminuiranno le occasioni per alzare la voce, per aumentare il chiacchiericcio, per annoiare il prossimo, le ricette della zia, dello chef rivoluzionario, i discorsoni e i discorsetti da due lire. Si riderà e si piangerà non a comando.
Saremo senz’altro meravigliati di ricominciare, addirittura commossi, ma certamente ciò che non potremmo sopportare è che nel comportamento nostro e dei clienti possa affacciarsi quella faciloneria presuntuosa, la cultura del sentito dire e lo sberleffo gratuito che sono il contrario della dedizione e della complicità.
Per concludere, la risposta a come fare? è fare meglio di prima con quello che ci sarà, perché la semplicità è difficile; trionfare non attraverso la quantità, ma con la disponibilità, l’invenzione, l’affetto. Cucinare è trasformare tutto ciò che è appetibile. Andare al Ristorante costerà il giusto in quel momento e per quel servizio, ma sarà di nuovo e speriamo per sempre un Invito che ti fa la vita.
Prima del caos, avevo finito di scrivere il secondo Quaderno della collana Cantieri Sultano, unVademecum sul modo di progettare un ristorante.
Aggiungerò un capitolo su come fare per superare un’emergenza. Foto: Alberto Blasetti