Vi ricordate i portapane?
Anni Sessanta, sussidiario delle elementari. In una delle letture illustrate si leggeva e si vedeva Gesù scendere da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Perché un cavallo bianco e non il solito asino? Per sottolineare l’importanza del gesto. Anche solo una briciola, non andava persa. Come non era permesso lasciare nulla nel piatto così i resti venivano riproposti la sera o il giorno dopo; i grandi avevano ancora in testa la guerra e il razionamento e a casa, sotto le prime mensole di formica, troneggiava il portapane.
Si apriva con uno sportello a scomparsa, custodendo per qualche giorno la famosa briciola di pane o, meglio ancora, il torsolo duro da ammollare nel latte a colazione.
Ora sono spariti, anche perché il pane si compra, si secca in giornata e poi si butta. A volte, si butta solo per ricomprarlo fresco. La verità è che c’è pane e pane.
«Il pane che facciamo io e Peppe Canistrà, a I BANCHI come al mio ristorante – spiega Ciccio Sultano – è buono finché ce n’é. Per la scelta delle farine, per il processo di lavorazione, studiato e ristudiato, è un pane sano, un pane che dura.
«Prima di consumarlo nuovamente, basta avere l’accortezza di riporlo in frigo, avvolto in una pellicola trasparente e di passarlo sette minuti in forno a 210 gradi oppure di tostarlo in un padellino o nel tostapane, ».