“il futuro dietro l’angolo di un’intuizione”
Spesso mi hanno definitivo “vulcanico” ed effettivamente mi rendo conto che le mie giornate sono talmente intense che anche le ore riservate al riposo sono una continua scalata di pensieri e idee che si inseguono, quasi un mentale gioco a nascondino, che mi condizionano la giornata, appena giunge il risveglio.
Ciò che credo un po’ a tutti interessa è il futuro, più o meno immediato. Già domani per me è futuro. Ed ogni risveglio è inevitabilmente condizionato dalla voglia di fare, fare qualcosa di nuovo, fare qualcosa che mi soddisfi, fare qualcosa che riesca ad allertare tutti i miei sensi, fare della mia professione ed esperienza un ulteriore volano per scommettersi anche su terreni non proprio conosciuti, e alcune volte impervi.
Il fare è il verbo che mi caratterizza maggiormente. Talmente semplice da un punto di vista etimologico, ma altrettanto complesso da concretizzare. Il fare non è un passaggio così immediato, perché si deve sapere cosa fare.
Da qualche settimana un’idea mi balza costantemente nella mente, un’idea che potrebbe rivoluzionare l’identità di una determinata fetta di ristorazione, lontana da ristoranti blasonati in cui, ricordo sempre, si propone un’esperienza non solo di gusto, ma di tutti i sensi di cui ciascuno è dotato.
Eppure, io sono un cultore, come ben noto, del ‘mangiare di strada’, del cibo che nobilita la terra in cui si vive e opera. Di quel cibo che sin troppo spesso, forse, si gusta in modo frettoloso, non apprezzandone le proprietà e la storia, forse perché non ne viene presentata l’essenza.
Immaginate se si potesse ritornare, non solo con la mente, ma anche in modo concreto indietro nel tempo, proponendo un luogo quale appunto la tradizionale putìa degli anni cinquanta, ma nobilitata dall’esperienza e dai dettami logistici, anche in termini di prodotti che si hanno oggi.
La ristorazione secondo me alcune volte deve essere protesa in avanti, rispolverando di volta in volta il passato, attingendo dallo stesso sapori e saperi che ci hanno consentito, oggi, di essere ciò che siamo. Riscoprire i grani duri e più preziosi per la panificazione d’eccellenza, proporre quegli insaccati non prodotti in modo industriale ma con un’attenta selezione artigianale, ed ancora i prodotti caseari fatti stagionare come la storia ci ha insegnato ed ancora quelle colazioni così ricche, ben lontane dal veloce cornetto e cappuccino. Insomma la sfilza di proposte potrebbe continuare all’infinito, immaginando anche la possibilità di proporre una ricca selezione di legumi o di piatti che hanno fatto la storia.
Tutto questo inserito in un contenitore che diventa luogo di incontro dell’arte, della cucina, della fotografia, della ristorazione, della musica, della degustazione. Ed infine, immaginate se tutti questi processi sono proposti in bella vista, dove non vi sia alcuna barriera architettonica che preclude la visione a preparazioni e processi.
Insomma questa idea mi ha tenuto desto tante notti, mi ha fatto svegliare nel cuore dell’oscurità per prendere appunti, mi ha dato una effervescenza creativa quasi incontenibile anche per me stesso, mi ha consentito di vedere oltre lo steccato e ripensare che non è impossibile compiere percorsi paralleli che diano gioia. Ed allora, che gioia sia!